lunedì 13 dicembre 2010

Legge 2020: qualche spunto per conciliazione e pari opportunità

Un piano strategico di azione per la conciliazione e le pari opportunità nell’accesso al lavoro.
Accanto alle politiche per la famiglia e alle politiche generali di modernizzazione del mercato del lavoro promosse dal Governo – decisive per sostenere la crescita e, con essa, la quantità e qualità della occupazione femminile – un piano strategico di azione per la conciliazione e le pari opportunità potrà ricondurre a un quadro unitario, e rendere maggiormente efficaci, una pletora di iniziative oggi frammentate tanto a livello istituzionale quanto a livello territoriale e aziendale.


Cinque sono le linee di azione che abbiamo individuato e che ci
proponiamo di implementare pragmaticamente, secondo una visione
integrata e con il concorso di tutti gli attori coinvolti, affidando il compito
di impulso, coordinamento e monitoraggio a una “cabina di pilotaggio” condivisa.

1) Il potenziamento dei servizi di assistenza per la prima infanzia e la sperimentazione dei buoni lavoro per la strutturazione dei servizi privati di cura e assistenza alla persona.
Lo sviluppo di un modello familiare che vede le donne più attive nel mondo del lavoro richiede di superare la disomogenea distribuzione territoriale dei servizi per la prima infanzia, promuovendo il
consolidamento e la diversificazione della offerta di asili e nidi anche presso le pubbliche amministrazioni e i luoghi di lavoro.

Per raggiungere l’obiettivo di una significativa e territorialmente omogenea diffusione dei servizi di cura e assistenza alla persona – a partire dai servizi per la prima infanzia – l’intervento pubblico, che compete peraltro al livello regionale, non pare sufficiente.
Sul radicamento di servizi di cura alla persona quantitativamente e qualitativamente adeguati incidono diversi fattori – legati, principalmente ai costi e alle modalità di utilizzo della forza lavoro – che ne fanno oggi una area deregolamentata ad alto tasso di lavoro nero e di informalità. L’impegno del Governo a favore del terzo settore e della cooperazione si muove nella direzione di un nuovo modello sociale aperto alla comunità e alla valorizzazione delle preziose esperienze già oggi avviate in molte aree del Paese in termini di crescita delle competenze professionali degli operatori del settore e di contrasto al lavoro informale. Per la strutturazione dei servizi di cura e assistenza alla persona riteniamo altresì decisivo investire sull’utilizzo di uno strumento agile come i buoni lavoro della legge Biagi, che uniscono semplicità gestionale dei rapporti di lavoro a una adeguata tutela previdenziale e assicurativa degli operatori del settore entro limiti prestabiliti di compensi con il singolo committente. I buoni lavoro potranno essere utilizzati per prestazioni occasionali di tipo accessorio e, in particolare, per l’avvio, in collaborazione con cooperative sociali e di servizio e associazioni del non profit, di nidi familiari con non più di cinque / sei bambini assistiti da personale che opera presso il proprio domicilio o in altro ambiente adeguato a offrire cure familiari.
In questa prospettiva ci proponiamo di avviare una prima sperimentazione dei “buoni infanzia” su base locale entro cui cercare di canalizzare – in una logica positiva di co-finanziamento – risorse locali tanto pubbliche che private. Le iniziative potranno essere incardinate nel programma di diffusione del lavoro accessorio di cui al PON 2007 – 2013. Con la collaborazione del Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca valuteremo inoltre la possibilità di avviare specifici corsi e percorsi di formazione e riqualificazione professionale per offrire alle famiglie un servizio di qualità e un costante aggiornamento degli operatori coinvolti. Nella medesima direzione è rivolto il Piano di interventi del Dipartimento per le Pari Opportunità a valere sulle risorse del Fondo per i diritti e le pari opportunità, pari a 40 milioni di euro, per favorire la conciliazione attraverso quattro linee di intervento: a) sperimentazione diffusa dei nuovi modelli di servizi di assistenza all’infanzia che consentano di innalzarne la disponibilità; b) sperimentazione dei buoni lavoro della legge Biagi; c) incentivazione del telelavoro; d) sostegno al rientro dal congedo di maternità. All’esito della sperimentazione potremo valutare, sentite le parti sociali e le associazioni interessate, sia il concreto impatto sulle dinamiche del mercato dei servizi di cura sia l’opportunità o meno di eventuali interventi normativi rispetto alla attuale regolazione dei buoni lavoro nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona.

2) La revisione dei criteri e delle modalità per la concessione dei contributi di cui all’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53 L’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”, non ha sin qui prodotto i risultati attesi. A seguito delle modifiche contenute nell’articolo 38 della legge 18 giugno 2009, n. 69 ci siamo proposti, di concerto e su impulso del Dipartimento per le politiche per la famiglia, di rilanciare lo strumento al fine di promuovere progetti sperimentali che attuino con maggiore efficacia ed effettività misure dirette a sostenere i soggetti con responsabilità genitoriali o familiari, favorendo la rimozione degli ostacoli alla piena realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale in ambito familiare e lavorativo, promuovendo il miglioramento della qualità delle relazioni familiari grazie a un maggiore equilibrio tra vita privata e vita professionale, da attuare attraverso il coinvolgimento di soggetti esterni alla famiglia quali istituzioni, imprese e associazioni. Una parte delle risorse verrà espressamente finalizzata ad attività di promozione e informazione, compresa una campagna pubblicitaria televisiva, nonché di consulenza alla progettazione, di monitoraggio delle
azioni e alla eventuale infrastrutturazione di reti territoriali a supporto diretto delle aziende. Riteniamo altresì utile procedere alla realizzazione di un software unico da mettere a disposizione degli attori che promuovono progetti volti a realizzare banche delle ore.
  I progetti di conciliazione dovranno prevedere almeno una delle seguenti tipologie di azioni positive: - progetti articolati per consentire alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e della organizzazione del lavoro, quali, a titolo esemplificativo, lavoro a tempo parziale reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore, orario flessibile in entrata o in uscita, su turni e su sedi diverse, orario concentrato, con specifico interesse per i progetti che prevedano di applicare, in aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e/o dei risultati; - programmi e azioni, comprese le attività di formazione e aggiornamento, volti a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di assenza dal lavoro non inferiore a sessanta giorni a titolo di congedo di maternità e paternità o parentale, o per altri motivi legati ad esigenze di conciliazione; - progetti che, anche attraverso l’attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione delle lavoratrici e dei lavoratori. In considerazione della evoluzione del mercato del lavoro, destinatari dei progetti saranno le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, ivi compresi i lavoratori in somministrazione, i soci lavoratori e le socie lavoratrici di società cooperative, nonché i soggetti titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto, purché la natura del rapporto sia compatibile con la tipologia e con la durata della azione proposta con la domanda di finanziamento. Una parte delle risorse verrà altresì destinata a misure dirette a sostenere le politiche di conciliazione per le libere professioniste e le lavoratrici autonome, nonché per l’auto-imprenditorialità con specifico riferimento alle titolari di impresa individuale. Per l’effettivo rilancio delle misure di conciliazione di cui all’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53 riteniamo che l’accordo contrattuale sia un presupposto indispensabile per l’ammissibilità dei progetti di conciliazione, in funzione di garanzia dell’adattamento del contesto aziendale alle esigenze di conciliazione espresse dai lavoratori. Riteniamo tuttavia che l’accordo non debba essere necessariamente di natura sindacale e collettiva, ma possa anche riguardare, almeno nelle imprese di minori dimensioni, direttamente lavoratrice e datore di lavoro. È forse anzi questo l’aspetto che maggiormente ha inciso sulla non soddisfacente esperienza dei primi dieci anni di applicazione dell’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.


3) Nuove relazioni industriali per il rilancio del lavoro a tempo parziale e degli altri contratti a orario ridotto, modulato e flessibile Le recenti riforme del mercato del lavoro e la legge Biagi in particolare hanno contribuito a un significativo radicamento anche in Italia del lavoro
a tempo parziale: una tipologia contrattuale che ha mostrato di poter fornire occasioni di lavoro, non precarie ma adattabili, a persone altrimenti escluse dal mercato e alle donne in particolare in coerenza con gli orientamenti comunitari in materia di occupazione e pari opportunità. Sempre la legge Biagi ha introdotto nuove tipologie di lavoro a orario ridotto, modulato e flessibile in funzione di contrasto del lavoro nero e di incremento dei tassi di occupazione femminile. In questi ultimi mesi registriamo, in particolare, un significativo incremento del lavoro cosiddetto a chiamata o intermittente che precedenti interventi legislativi si proponevano di eliminare dal nostro ordinamento senza tuttavia ipotizzare valide alternative volte a intercettare e legalizzare significativi spezzoni di lavoro occasionale e accessorio.
L’importanza di questi strumenti è evidente. Piccoli, ma significativi aggiustamenti nel rigido orario di lavoro possono consentire a molti la conciliazione tra tempi di lavoro e di famiglia senza compromissione delle possibilità di carriera.
Eppure ancora poco sappiamo circa il concreto utilizzo del lavoro a tempo parziale e, ancor di più, delle tipologie a orario ridotto, modulato e flessibile soprattutto nella prassi delle relazioni industriali. Alla Consigliera nazionale di parità abbiamo affidato un fondamentale compito di monitoraggio di quanto si registra nei nostri mercati del lavoro e nelle singole unità produttive, attraverso la costituzione di un Osservatorio sul lavoro a tempo parziale e sulle forme di lavoro a orario ridotto, modulato e flessibile, che avrà il compito di verificare quanto avviene nei singoli settori produttivi, nelle diverse aree del Paese, nei contratti collettivi di secondo livello e nella prassi aziendale con l’obiettivo di raccogliere e divulgare buone prassi.
Siamo infatti convinti che, per il rilancio delle politiche di conciliazione, più che una mera incentivazione economica particolare rilievo possa assumere l’evoluzione della contrattazione collettiva e della prassi aziendale con riferimento alla flessibile modulazione dell’orario di lavoro oggi consentita – quando non imposta – dal cambiamento dei tradizionali modelli produttivi seriali e dalla trasformazione terziaria.
La stessa contrattazione collettiva, oggi avviata a un robusto processo di decentramento, potrà utilmente definire il quadro di riferimento normativo entro il quale consentire e incentivare anche accordi individuali tarati sulle specifiche esigenze delle parti del rapporto di lavoro.
In questa prospettiva ricordiamo alle parti sociali la possibilità di beneficiare già oggi delle misure fiscali di detassazione delle somme erogate per i premi di produttività previste dall’articolo 2 del decreto legge n. 93 del 2008 convertito nella legge n. 126 del 2008 e ora confermate, per il 2009, dal decreto legge n. 185 del 2008 convertito nella legge n. 2 del  2009. Come ricordato in via amministrativa dal Ministero del lavoro e dalla Agenzia delle entrate la nozione di “somme erogate” per premi di produttività va intesa in senso ampio stante la finalità del provvedimento. All’interno della misura potranno pertanto rientrate tutti i premi, concordati a livello individuale o collettivo, comunque legati a risultati di efficienza organizzativa, tra cui rientrano chiaramente anche le misure di conciliazione e la modulazione degli orari e dei tempi di lavoro. Per rilanciare nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro una nuova stagione di accordi e intese sugli orari e i sui tempi di lavoro, nell’ottica della conciliazione, convocheremo quanto prima un tavolo con le parti sociali al fine di definire le azioni di sostegno alla contrattazione decentrata nella prospettiva – sin qui mai pienamente coltivata – di genere e di parità delle opportunità.

4) La nuova occupazione nel contesto dei cambiamenti in atto: lavori verdi anche al femminile Abbiamo recentemente condiviso la proposta del presidente Obama per la convocazione di un G20 dei Ministri del Lavoro in collaborazione con l’OCSE con l’obiettivo di concertare le politiche per la nuova occupazione nel contesto dei grandi cambiamenti in atto a partire da quelli energetici e climatici. Accanto allo sviluppo dei servizi alla persona e anche alle imprese particolarmente cruciale sarà, nei prossimi anni, la sfida delle energie rinnovabili. Gli studi più attendibili evidenziano forti opportunità di investimento nella produzione e sviluppo di tecnologie, in particolare solare ed eolica. Il potenziale occupazionale totale potrebbe raggiungere le 250mila unità lavorative nel settore. Oltre al settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, la transizione verso una economia sostenibile avrà un impatto, in termini di nuove figure professionali di tipo trasversale e anche in altri settori, come l’edilizia, i trasporti e l’agricoltura. Trattandosi di settori in cui le donne sono tradizionalmente sottorappresentate è necessario assicurare che tale transizione abbia un impatto di genere positivo. Per evitare un aumento nel livello di segregazione occupazionale, ci proponiamo pertanto di sostenere due principali linee di azione. Innanzitutto intendiamo promuovere iniziative volte a incrementare la partecipazione femminile in settori di occupazione non tradizionali, in particolare in quello energetico. Questo significa assicurare pari opportunità di accesso di percorsi di formazione e riqualificazione professionale che, necessariamente, andranno adeguati alle nuove esigenze del mercato del lavoro e ai nuovi skill richiesti dal mercato, nonché promuovere attività informative sulle opportunità esistenti in tali settori e assicurare, attraverso il dialogo sociale, condizioni di lavoro che favoriscano la conciliazione fra tempi di vita e di lavoro. In collaborazione con il Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca ci proponiamo poi di contribuire alla creazione di apposite figure professionali volte a favorire il risparmio energetico e la protezione
dell’ambiente in quei settori in cui le donne sono maggiormente
rappresentate come l’istruzione, la sanità, i servizi sociali e di assistenza
alla persona.


5) Riportare a Bruxelles il Dossier “Contratti di inserimento al lavoro”
per le donne del Mezzogiorno
  Come ultima linea di azione ci proponiamo di aprire con Bruxelles un negoziato sulle ulteriori misure di sostegno e incentivazione della occupazione femminile nel Mezzogiorno a partire dal contratto di inserimento al lavoro per le donne. Il caso dei contratti di inserimento al lavoro delle donne disciplinati dalla legge Biagi ci pare, al riguardo, particolarmente emblematico dei paradossi di una acritica applicazione del diritto comunitario della concorrenza a situazioni del tutto eccezionali e particolari come l’occupazione femminile nel Mezzogiorno. Ricordiamo che il contratto di inserimento è un contratto di lavoro a termine – di durata non inferiore a nove mesi e non superiore ai diciotto – diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro di alcune categorie di persone “svantaggiate” tra cui le donne di qualsiasi età residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile. I contratti di inserimento prevedono due tipologie di incentivi, una normativa e una economica. Per tutte le categorie di contratto di inserimento, con esclusione delle donne, la categoria di inquadramento del lavoratore può inferiore di due livelli alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto. Questa possibilità di sottoinquadramento era originariamente prevista dalla Biagi anche per le donne ed è stata eliminata sul presupposto che avrebbe potuto dare luogo a una discriminazione per le donne. Per questo motivo è importante, per le donne, il secondo tipo di incentivo, quello economico. Si tratta di uno sgravio del 25 per cento su tutto il territorio nazionale e pari al 50 per cento nel Mezzogiorno. Le aree vengono determinate anno per anno con decreto Ministro dell’Economia e Ministro del lavoro. Il nuovo regolamento europeo in materia di aiuti alla occupazione ha tuttavia inopinatamente escluso forme di incentivazione di tipo geografico consentendole, unicamente, a livello settoriale. Il regolamento europeo parla infatti di “lavoratori occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25 per cento la disparità uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato” 8art.2, punto 18, lett.E, del Regolamento (CE) n.800/2008)
Applicando la nuova normativa europea non potranno pertanto più essere incentivati i contratti di inserimento in settori tradizionali, come il tessile, il commercio, gli alberghi o i ristoranti, la sanità e l’assistenza sociale, dove le donne vengono più facilmente assunte, perché la disparità in questi settori non supera il 25 per cento.
Donne e donne del Sud risultano così gravemente penalizzate da questa nuova normativa, approvata nel corso della passata Legislatura, per cui è nostra intenzione rilanciare con forza l’attenzione delle istituzioni comunitarie verso il Mezzogiorno e il problema della occupazione – e non solo di aiuti a finalità regionale – che devono poter operare senza il rischio di interventi di censura da parte della Comissione e della Corte di Giustizia.

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