martedì 10 marzo 2009

Club Lettura - Una follia raccontata da Zweig

Stefan Zweig
AMOK


La letteratura dell’abisso
Una novella scritta negli anni ’20 dal famoso scrittore austriaco Stefan Zweig, sulle trasformazioni psichiche dell’uomo che lo portano a compiere gesti incontrollati e tragici.
di Francesca di Mattia

(da RaiLibro)


Con la novella “Amok”, tratta dalla raccolta “Amok e altri racconti di lucida follia”, edita da Sperling & Kupfer nel 1930 e da Frassinelli nel 1992, Adelphi dà inizio alla pubblicazione di alcune fra le opere più importanti di Stefan Zweig (1881-1942), romanziere, poeta e saggista viennese di spicco a partire dagli anni Venti, uno degli autori di lingua tedesca più prolifici e maggiormente conosciuti all'estero che, esule per motivi razziali in America Latina, si tolse la vita a causa di una forte depressione.

Un ebreo austriaco che amò sempre definirsi, anticipando i tempi di un secolo, un “cittadino dell'Europa”, come scrisse nell’autobiografia “Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo” (Mondadori, 1994), scritta nel ’44 e pubblicata postuma a due anni dal suicidio, ricostruzione di una generazione e di un'epoca, ma anche grande libro di storia vissuta, acuta e dolente riflessione critica su un mondo sentito come ormai definitivamente avviato verso la catastrofe morale e politica, dopo il grande sogno - o la grande illusione - di un'Europa unificata dalla cultura e dalla tolleranza, non lacerata dalle tensioni etniche e sociali.

Un tema quanto mai attuale, che ci spinge ad approfondire la conoscenza di questo autore, per molti anni stranamente ed ingiustamente dimenticato, pur essendo in vita molto celebre: i suoi libri sono stati tradotti in cinquanta lingue e ristampati varie volte, con tirature che hanno sfiorato le 250.000 copie. Inoltre, più di venti film sono stati tratti da opere di Zweig, tra cui quello ispirato ad “Amok”, uscito nel ’27 negli Stati Uniti e nel ’34 in Francia.
Per chi conosce il tedesco, è disponibile l'opera omnia in trenta volumi, pubblicata da Fischer, Frankfurt am Main (1982-1987) nelle edizioni delle Gesammelte Werke in Einzelbänden, ma è difficile oggi trovare nelle comuni librerie le traduzioni dei suoi libri in lingua italiana.

Dunque, una scelta editoriale meritoria, quella di Adelphi, che con “Amok” – novella apparsa per la prima volta nel ’22 sulla “Neue Freie Presse” - ci porta nel labirintico mondo di ossessioni e pulsioni dell’autore, che fu anche traduttore di Baudelaire e Verlaine, e acutissimo biografo di Dostoevskij, Dickens, Balzac, Casanova, Tolstoj, Kleist, Hölderlin, Nietzsche: Zweig amava l’'accostamento, i paragoni ed il confronto fra i vari scrittori e filosofi, al fine di scandagliarne la personalità e le più intime sfumature.

Alla fine degli anni '20 collaborò con il periodico viennese "Almanacco di psicanalisi" e strinse amicizia con Freud, a cui successivamente dedicò un saggio biografico.
Il tema della psiche è ancora presente nei racconti “Sovvertimento dei sensi”, “Tramonto d'un cuore”, e “Ventiquattr'ore della vita d'una donna”, tradotti nel ‘31 da Berta Burgio Ahrens, amica palermitana dello scrittore.
E lo studio dell’animo umano torna prepotentemente in "Amok", la storia di un viaggio lungo l’Oceano Indiano, a bordo di una nave in direzione del porto di Napoli, una storia che ammalia e stordisce, una confessione simile a un delirio, la ricostruzione di un mondo coloniale che «divora l’anima e succhia il midollo dalle ossa», scatenando forze capaci di scardinare in un attimo ordinate esistenze.

Protagonista della vicenda è un medico tedesco che, dopo aver fallito la sua carriera in Germania, si trasferisce in India, e vive per anni in solitudine lavorando per le colonie. Emarginato. Alcolizzato. In preda alla nostalgia per l’Europa.
Ma poi avviene l’incontro che gli cambia la vita: un'affascinante aristocratica, rimasta incinta a causa di una relazione extraconiugale, gli chiede di farla abortire. Il medico, inspiegabilmente, le risponde con un ricatto: accetta di aiutarla, ma in cambio pretende che lei gli si conceda.

E da questo momento ha inizio un rapporto feroce, selvaggio e incontrollato tra i due, che sfocerà nella tragedia: l’uomo, infatti, viene posseduto dall’”amok”, parola malese che indica una sorta di raptus, un’ebbrezza selvaggia che conduce alla rovina chi ne è invasato: «una follia rabbiosa, una specie di idrofobia umana... un accesso di monomania omicida, insensata, non paragonabile a nessun’altra intossicazione alcolica». Nutrita dall’afa soffocante dei luoghi e dalla fragilità nervosa delle anime. Un demone perverso, che porta l'uomo e la donna ad una conclusione ineluttabile, al ritorno in un’Europa crepuscolare, lontano dalla giungla e dalla città d’acqua in cui i due hanno giocato una partita dall’esito segnato sin dal primo incontro.

Zweig analizza in modo scientifico il fenomeno, e ne fa il perno dell’intera novella; l’intreccio narrativo è un pretesto per scavare negli abissi e capire fin dove può arrivare la mente umana: "Dunque, l'amok... sì, l'amok è così: un malese, un uomo molto semplice, assolutamente bonario, si beve il suo intruglio... se ne sta lì seduto, apatico, indifferente, spento... come me ne stavo io nella mia stanza... e all'improvviso balza in piedi, afferra il pugnale è corre in strada... corre sparato come una freccia, sempre diritto, senza deflettere... senza sapere dove... Chi gli si para davanti, essere umano o animale, viene trafitto dal suo kris, e l'orgia di sangue non fa che eccitarlo maggiormente... Mentre corre, ha la schiuma alle labbra e urla come un forsennato... ma continua a correre e correre, senza guardare né a destra né a sinistra, corre e basta, con il suo urlo acutissimo, con il suo kris insanguinato, in quella rettilineità mostruosa...".

Il racconto è inquietante, torbido, morboso e carico di tensione: il convenzionale incontro tra un uomo “senza qualità” e una donna fatale ha qui sviluppi impensabili, dalla narrazione tesa e asciutta.
La crudezza sgradevole delle frasi esalta il malessere e il disagio esistenziali, senza nulla concedere all’idealismo, quell’idealismo quasi consolatorio che lo stesso Zweig ha mostrato in altre sue opere.
La vittima dell’amok, attraverso le parole dei personaggi, appare crudelmente patetica, ridicola, umiliante.
E la scrittura, appesantita talvolta da uno stile un po’ troppo fiorito, trova un meraviglioso equilibrio tra lucidità e delirio, nello sforzo di razionalizzare, raccontandolo, uno stato psichico febbrile. Forse lo stesso che ha portato l’autore a suicidarsi in Brasile anni dopo, nel clima opprimente dell’amok.

Zweig, Stefan
Amok
Adelphi “Piccola Biblioteca”, 2004
pp. 105, euro 7
Traduzione di Emilio Picco

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