mercoledì 25 febbraio 2009

Club Lettura - Irène Némirovsky, "Suite Francese"

Mentre si vanno affinando le armi per affrontare

"Il Maestro e Margherita" 
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proseguono le letture da parte dei vari componenti del gruppo. E' ora la volta della "Suite Francese"



Irène Némirovsky non ha fatto in tempo a terminare “Suite Francese”. I movimenti della sua “sinfonia” dovevano essere cinque, ma ne ha potuti scrivere solo due: la deportazione ad Auschwitz prima, la morte subito dopo, hanno interrotto il suo lavoro. Mi sembrerebbe impreciso comunque definire “Suite Francese” un romanzo sull’occupazione tedesca di Parigi. La guerra in corso (il romanzo è stato scritto tra il 1941 e il 1942) mette alla prova, come solo la guerra può fare, un'umanità rappresentata da personaggi sapientemente scelti e delineati.

Mi chiedo a che grado di lucidità sarebbe arrivata l’autrice se avesse potuto continuare a scrivere. Sembra impossibile che questo romanzo sia stato scritto vivendo in prima persona e in quello stesso momento gli avvenimenti tragici che costituiscono lo scenario dei protagonisti. “Temporale di giugno” è lo sconquasso del mondo del tempo di pace per borghesi, nobili, proprietari terrieri e contadini, il fragore delle bombe, le stazioni e i treni presi d’assalto, interminabili colonne di auto in fuga, negozi di generi alimentari vuoti, profughi laceri che fuggendo a piedi scoprono in questi movimenti di folla i propri egoismi, le proprie vili ipocrisie. E’ sprezzante Iréne nel tratteggiare i personaggi e le loro vicende.




Ma le sue descrizioni sono sempre “dall’interno”, non è lei lo scrittore che rifiuta di mischiarsi con la volgarità (il Corte di “Temporale di giugno”): descrivendo quelle ipocrisie, descrive sé stessa, allo stesso modo in cui in altri suoi scritti descrivendo gli ebrei, lei, ebrea, usa le stesse immagini e gli stessi aggettivi resi tristemente noti dalla propaganda nazista. Ma questo sguardo così nitido, che sembra quasi “leggero” eppure è tanto preciso, crudele e indulgente insieme, perché “la guerra è così”, sembra delinearsi sempre più pagina dopo pagina, schiarendo progressivamente la nebbia sui meccanismi delle reazioni umane dei vincitori e dei vinti determinate dall’emergenza, dalla paura e dalla perdita del controllo sulle proprie azioni, sulla propria vita e su quella dei propri familiari. Un processo fluido, musicale certo, che si sublima in "Dolce": è qui che la contrapposizione tra storia collettiva e storia individuale si dispiega in tutta la sua contraddittoria e dolorosa complessità: dall’entrata delle truppe nel paese, in cui attraverso le imposte chiuse, insieme alla paura e al disprezzo filtra l’ammirazione e l’inspiegabile senso di deferenza per le uniformi impeccabili, gli stivali tirati a lucido, le scintille di luce equamente distribuite tra l’oro dei capelli dei tedeschi e il metallo di speroni e fibbie tintinnanti, ai bambini che invano richiamati dalle madri, corrono sulla piazza a sfiorare con le loro mani sporche l’incarnazione ai loro occhi di un’eroica e perfino benevola forza, mentre gli uomini commentano stupiti la correttezza dei modi e la clemenza degli invasori. Tutto questo è già nel preludio di "Dolce", e si realizza nel giusto ritmo quando gli ufficiali tedeschi si insediano nelle case dei francesi, e prendono a condividere con essi una sempre meno rigida quotidianità. Pensare che queste cose siano state scritte mentre imperversavano le deportazioni, di cui la stessa scrittrice, russa ed ebrea era evidentemente una vittima designata, rende tutto ancora più significativo. Evidentemente designata certo: Irène era nata a Kiev nel 1903, era figlia di un ricco banchiere che in Russia era costantemente in viaggio per affari e di una donna frivola che la odiava e dalla quale non ebbe mai nemmeno una carezza e che finì col tempo per odiare a sua volta (il che, senza voler spingersi a praticare della psicologia spicciola, secondo me spiega molto bene come potesse poi così spietatamente disprezzare sé stessa e la propria razza; e non nel senso che per mancanza d'affetto abbia finito per rifiutare il mondo intero, ma credo che quando puoi odiare le tue stesse origini biologiche allora hai saltato il fosso dei pregiudizi dei legami culturali e di sangue, e allora sei veramente libero, libero di guardare con occhi limpidi chi sei e da dove vieni). La sua famiglia era stata costretta a fuggire dalla Russia durante la Rivoluzione d’Ottobre, e a causa di quella rivoluzione aveva perso la maggior parte dei suoi beni. Ma in quel contesto non aveva più alcuna importanza: a quel punto contava solo la stella gialla e nera che lei e le sue figlie erano costrette a portare cucite sui vestiti. La storia collettiva non è una semplice somma di storie individuali, sono due strade che procedono separate, possono solo scontrarsi con tragiche conseguenze; ma in questo consta appunto l’irrisolvibile dilemma della ragione in guerra. L’invasore tedesco che ha massacrato francesi pochi giorni prima, e oggi entra da padrone, seppure armato della più inattaccabile eleganza dei modi, nella sua stessa casa, nella vita civile è un architetto di giardini alla francese, o un ardente compositore di musica classica, una musica divina e che innalza l’anima all’ascolto, è un uomo colto, sensibile, gentile, un uomo che si innamora. E certo anche Lucile che come moglie di un prigioniero osa innamorarsi del proprio carnefice davanti agli occhi della suocera, è un bel contraddire ciò che vorrebbe essere l’umana coerenza. Allo stesso modo il contadino che ospita il soldato di diciannove anni e ne condivide pasti e serate davanti al camino, non esita ad imbracciare il fucile e a finirlo, sentendo insidiata la propria moglie, la propria libertà di pensiero, il diritto di possedere di che sfamare la propria famiglia. “E’ la guerra”. Mi viene in mente Marguerite Duras, "Il dolore": anche in quel caso si instaura un rapporto più che ambiguo tra la protagonista e l'ufficiale delle SS che la tiene in pugno (sebbene descritto in modo totalmente diverso). Dove salta il senso della vita e della morte, franano anche le barriere di coerenza che fino a un giorno prima avevano puntellato ogni convinzione.
I grandi eventi della storia travolgono le esistenze, determinano i destini, si abbattono come un violento temporale che sembra non voler più finire, spazzano via tutto ciò che incontrano. Poi, così come sono venuti, passano. Louise, quattro figli l’ultimo in fasce, il marito prigioniero, alla fine di “Temporale di giugno” è sola nel suo letto e in preda alla disperazione; sente placarsi il vento, solleva il volto rigato di lacrime e ricomincia a sperare.
Di solito la vita di un individuo è più lunga dei grandi avvenimenti (se non soccombe a causa di essi, come purtroppo è successo proprio alla scrittrice). Così scriveva nei suoi appunti Irène. E forse è perché nessuno può realmente pensare all’assenza del proprio futuro, nemmeno lei che sentiva la tragedia imminente, visto che nel 1941-42 descriveva al passato remoto un inverno che era appena trascorso, quello tra il 1940 e il 1941, e quindi scriveva proprio per noi che avremmo letto oggi, con il coraggio che riescono ad avere soltanto certi grandi scrittori e artisti, quello di spingere il proprio sguardo e la propria immaginazione molto oltre la loro piccola vita, e di saper vedere il futuro, guardandolo con lo stesso sguardo limpido che permette loro di vedere il presente. Scriveva: chissà se un giorno tutto questo lo racconterò. Non solo lo ha fatto (anche se non completamente, non quanto aveva in mente). Ma ha fatto pervenire fino qui, tramite le sue due figlie, la storia della sua vita e di questo manoscritto, che forse insieme alle lettere pubblicate in appendice, meritava da sola un libro
Romanzo concepito come una grande sinfonia musicale in cinque parti, delle quali soltanto due videro la luce a causa della tragica deportazione dell’Autrice, “Suite Francese” vuole ritrarre la Francia e i francesi al tempo della guerra, vuole narrare soprattutto le storie della gente, le reazioni e il modo in cui le situazioni d’emergenza svelano la vera natura degli individui.
Mio Dio, cosa mi combina questo paese? Dal momento che mi respinge, osserviamolo freddamente, guardiamolo mentre perde l’onore e la vita” (Appunti di I.Némirovsky sullo stato della Francia e sul suo progetto Suite Française tratti dal suo diario e riportati nell’appendice dell’edizione Adelphi).
Accordi solenni aprono il primo romanzo “Temporale di giugno”, subito dopo l’alternarsi di numerosi personaggi dà vita a tanti temi diversi, che si sviluppano e talvolta proseguono nel secondo romanzo, “Dolce”, una melodia più pacata e lieve, giocata su sfumature e sottili assonanze.
In “Temporale di giugno” siamo a Parigi alla vigilia dell’occupazione tedesca, la paura e la preoccupazione dilagano e le strade si riempiono di sfollati, carichi di masserizie in cerca di luoghi più sicuri.
Némirovsky ci presenta così molti personaggi, descrivendoli con efficacia, profondità e attenzione, la narrazione è qui di ampio respiro, articolata, l’idea è di realizzare un ampio affresco sociale, per certi versi ispirandosi a “Guerra e pace” di Tolstoj, ma evitando le lunghe riflessioni sulla storia dello scrittore russo e lasciando parlare gli eventi. Il proposito dell’autrice è di lavorare per contrapposizioni, ad esempio non descrivere la miseria, ma metterla a confronto con la ricchezza, “una parola per la miseria, dieci per l’egoismo, la vigliaccheria, la connivenza, il delitto” (Appunti di I.Némirovski….cit.)
La galleria dei personaggi è ampia e varia. Abbiamo la famiglia Pèricand, composta dai genitori, cinque figli e un nonno, bempensanti, ricchi borghesi cattolici. Soprattutto la madre è perbenista, di mentalità ottusa e fermamente convinta di una sua superiorità derivatale dal censo e dalle ripetute maternità, per le quali ha rischiato la vita.
Ai ceti meno abbienti ella dedica una comprensione e una carità di facciata – si tratta più che altro di autogratificazioni – che vengono meno nel momento in cui diventa faticosa o scomoda.
La carità cristiana, la mitezza di secoli di civiltà le cadevano di dosso come vani orpelli rivelando un’anima arida e nuda. Lei e i suoi figli erano soli in un mondo ostile. Doveva nutrire e proteggere i suoi piccoli. Il resto non contava più”. (p.58)
Gesto emblematico della signora Pèricand: per dimostrare a se stessa quanto tenesse alla cura della servitù, aveva voluto curare personalmente la tonsillite di una sua cameriera, facendole praticare dei gargarismi…la sera dopo il teatro, cioè svegliando la poveretta, dopo una giornata di lavoro, nel cuore della notte.
Procedendo a capitoli alterni Nèmirovsky ci presenta molte figure umane: Gabriel Corte, esteta, scrittore staccato dal mondo, interessato solo ai suoi oggetti piacevoli e alla sua amante, oggetto tra gli oggetti; Charles Langelet, un individuo solitario, amante del bello, abitudinario e morbosamente legato ai suoi pezzi artistici, tanto da anteporli alle vite umane. Le vicende della guerra riveleranno la sua natura squallida ed egoista.
Positivi invece sono i coniugi Michaud, due modesti impiegati di banca, il cui unico figlio, Jean-Marie, si trova al fronte. Si tratta di buona gente, onesta, capace ancora di gesti di solidarietà.
Accomuna tutti i personaggi la fuga da Parigi, nella quale ciascuno porta via quel che per lui è più prezioso. La situazione estrema rivela la vera natura di ciascuno, nel generale disorientamento viene messo alla prova il carattere e un quadro corale si delinea.
Gli eventi gravi, fasti o nefasti che siano, non cambiano la natura di un uomo ma permettono di definirla meglio, così come un colpo di vento, spazzando all’improvviso le foglie morte, rivela la forma di un albero; mettono in luce quello che era rimasto in ombra; danno allo spirito l’inclinazione che da lì in avanti lo caratterizzerà”. (p.176)
È una nazione spaventata, rassegnata, spesso vile quella che si delinea ed è una società benestante, molto legata al denaro, quella che Némirovsky – come già aveva fatto in opere precedenti – descrive e critica. Costumi, interessi, meschinità, ipocrisia vengono alla luce sotto lo sguardo implacabile dell’Autrice, qui più incisiva e determinata che mai.
Non mancano i suoi interessi alla fisiognomica, che qui si rivolgono non più agli ebrei, ma ai ragazzi di un istituto per giovani deviati, ebbene, questi ragazzi rivelano tratti semianimaleschi, fronte bassa, orecchie a sventola, sguardo ottuso, scarsa intelligenza, indolenza. È come se nel volto fosse già scritto il loro futuro di delinquenti.
Da una società del genere non ci si può aspettare una volontà di resistenza al nazismo, negli appunti Némirovsky osservava:
Da qualche anno tutto quello che si fa in Francia nell’ambito di una certa classe sociale ha un solo movente: la paura. È stata la paura a provocare la guerra, la sconfitta e la pace attuale. Il francese di questa casta non odia nessuno; non nutre gelosia né ambizione delusa, né un vero desiderio di vendetta. Ha una fifa blu.”
In “Dolce” siamo in un paesino della Francia appena occupata dai tedeschi, che sono odiati, ma temuti. L’attenzione della Némirovsky si focalizza sul rapporto tra un giovane soldato e una donna del villaggio, Lucile, creatura presa in un’esistenza grigia e opprimente. Suo marito Gaston Angellier è prigioniero in Germania e lei vive con l’ostile e gretta suocera in una grande casa. Il matrimonio, combinato per interesse, non è felice e neppure rischiarato dalla nascita di figli, Lucile è dunque una donna sola, riservata, bella e malinconica. L’obbligo imposto dagli occupanti di ospitare in casa un ufficiale tedesco le offre l’occasione per conoscere un uomo fine, amante come lei della musica e della lettura, avversato invece dall’avara suocera, troppo legataai soli interessi
materiali. Il loro breve rapporto sarà però tutto empatico, fatto di sensazioni molto sottili, “è il dono dell’anima che precede quello del corpo” e che resterà spirituale.
Due infelicità s’incontrano, si sfiorano e ripartono incontro al loro destino, ma per un attimo hanno rivendicato la libertà d’amare, di vivere nonostante la guerra, le bombe, la morte e i pregiudizi. Aspirazione che s’immagina propria dell’Autrice stessa, sottratta invece ai suoi affetti e alla vita dalla furia nazista.
Il romanzo è giocato sulla dolcezza di quest’affetto, con interessante approfondimento del personaggio di Lucile;,sulla considerazione che anche gli occupanti sono esseri umani, sull’osservazione – come nel precedente lavoro – del comportamento delle varie classi sociali di fronte alla guerra e ai problemi del razionamento alimentare.
Si occulta il cibo sia per non farlo sequestrare dai tedeschi, sia per non far capire ai vicini che lo si possiede. Il popolo ruba nei possedimenti dei borghesi e degli aristocratici che, dal canto loro, considerano un diritto acquisito l’avere di più per potersi permettere piaceri e lussi preclusi ai poveri. Chi ha crede che i sacrifici debbano farli sempre gli altri ed esempi emblematici sono la vecchia Angellier, borghese, e la viscontessa di Montmort, moglie del sindaco, donna giovane, ma brutta e sessualmente frustrata, molto dedita alla beneficenza e alla religione, pratiche cui si dedica con aria di degnazione e superiorità. Verso le popolane ha atteggiamenti di condiscendenza, convinta che siano state “punite dalla sorte” per qualche motivo. Ipocritamente benevola, cela un profondo disprezzo verso l’umanità, che considera brutta e volgare.
Molto più pratica e materialista, la Angellier non nasconde la sua avarizia, esaspera i suoi mezzadri e considera il cibo dei contadini come sottratto a quel che sarebbe spettato a lei. Entrambe sono odiatissime.
Tra gente con questo tipo di mentalità inizia a insinuarsi il germe collaborazionismo, che Némirovsky avrebbe voluto sviluppare in un romanzo successivo.
Così osserva la viscontessa: “ … non che detestasse i tedeschi più degli altri stranieri (li inglobava tutti in uno stesso sentimento di avversione, di diffidenza e di disprezzo), ma vi era nel patriottismo e nella germanofobia, come del resto nell’antisemitismo e, più tardi, nella devozione al maresciallo Pétain, qualcosa di teatrale che la eccitava”. (p.250)
E ancora dice un giovane francese: “Noi dimentichiamo tutto molto in fretta, è la nostra debolezza e insieme la nostra forza! Dopo il 1918 abbiamo dimenticato subito di avere vinto, ed è stata la nostra rovina; adesso ci dimenticheremo di essere stati sconfitti, e sarà forse la nostra salvezza!” (p.320)
Se avesse potuto continuare Némirovsky ci avrebbe offerto un quadro completo e non avrebbe risparmiato critiche ai suoi concittadini.
Una nota particolare merita la vicenda del manoscritto di “Suite Francese”. Custodito in una valigia che le figlie della Némirovsky, ormai orfane, portavano sempre con sé nei vari rifugi in cui erano ospitate. Rimase chiuso per anni, perché troppo doloroso da leggersi, soprattutto per la figlia maggiore che ricordava sua madre (l’altra sorella aveva solo cinque anni all’epoca dei fatti).
Dopo molto tempo le due sorelle decisero di salvare l’ultima opera della scrittrice affidandola all’Institut Mèmoire de l’Édition Contemporaine, ma prima la figlia maggiore volle dattilografare il manoscritto. In seguito il testo fu anche trascritto a computer e solo più tardi fu pubblicato.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Irene Némirovsky, (Kiev 1903-Auschwitz 1942) scrittrice ucraina in lingua francese. Figlia di un ricco ebreo russo di origini francesi, ex commerciante di granaglie e divenuto uno dei più potenti banchieri di tutte le Russie, si appassiona alla letteratura – soprattutto francese – in giovanissima età. Impara il francese dalla sua governante, ma parla anche il polacco, il russo, l’inglese, il basco, il finlandese e capisce lo yiddish.
Nel 1917 a causa della rivoluzione la Némirovsky lascia in fretta San Pietroburgo con la famiglia per rifugiarsi in Francia, dove si sistema definitivamente. Il suo primo romanzo “David Golder” (1929), pubblicato da Grasset, riscuote grande successo. Nel 1926 sposa Michel Epstein, giovane ingegnere, dal quale avrà due figlie. Negli anni successivi a causa dell’antisemitismo si converte al cristianesimo e fa battezzare le figlie, nella speranza di salvarsi dalla furia nazista. Arrestata, morirà ad Auschwitz, il marito avrà la stessa sorte poco tempo dopo.
Opere: “Il ballo” (1930); “Come le mosche d’autunno”(1931); “L’Affaire Courilof” (1933); “Le vin de solitude” (1935); “Suite francese “ (postumo nel 2004, pubblicato dopo il ritrovamento del manoscritto).
Irene Némirovsky, Suite Francese, Milano, Adelphi 2005. Titolo originale “Suite Française”. A cura di Denise Epstein e Olivier Rubinstein. Postfazione di Myriam Anissimov. Traduzione di Laura Frausin Guarino.
L’edizione contiene in appendice gli Appunti di I.Nèmirovsky sullo stato della Francia e sul suo progetto Suite Française tratti dal suo diario e le angosciose lettere 1936-45.

2 commenti:

Elena ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Elena ha detto...

Grazie di avermi inserito tra i vostri commenti a questo libro importante
Un saluto