lunedì 17 novembre 2008

Club Lettura - "Amsterdam" di I. McEwan

Dopo la lettura di Amsterdam



Si è conclusa la lettura del libro di In McEwan, Amsterdam. La discussione si è svolta a casa di Anita, con la sua accogliente ospitalità. Discussione vivace e appassionata, anche con riferimenti al mondo attuale (Italia inclusa!)

Si assicura che nei bicchieri
non c'era traccia di quanto Vernon
e Clive si erano propinati a vicenda!





Ian McEwan,
Amsterdam,
Einaudi, 1998, 170 p.

Due ex amanti di Molly Lane aspettavano davanti alla cappella del cremarono dando le spalle al gelo di febbraio.

Si erano già detti tutto, ma vollero ricominciare da capo.

- Non ha neanche avuto il tempo di capire che cosa le succedeva.

- E quando l'ha capito era troppo tardi.

- Se ne è andata così in fretta.

- Povera Molly.

- Mmm.

Povera Molly. Tutto era cominciato con un formicolio mentre alzava il braccio per fermare un taxi fuori del Dorchester Grill; quella sensazione non l'aveva più abbandonata. Nel giro di qualche settimana già faticava a ricordare i nomi delle cose. Finché si trattò di parlarnento, chimica o propulsore riuscì ancora a perdonarsi, molto meno, quando toccò a letto, specchio e panna. Fu dopo la temporanea scomparsa di acanto e bresaola che decise di rivolgersi a un medico, convinta che l'avrebbe rassicurata. Invece le fu consigliato di sottoporsi a un controllo e, in un certo senso, non ne uscì più. Come aveva fatto presto quella insolente di Molly a trasformarsi nella prigioniera malata di George, marito possessivo e scontroso. Molly, critico gastronomico, fine intellettuale, fotografa, la spregiudicata floricultrice, amata dal ministro degli Fsteri, che alla bell'età di quarantasei anni riusciva ancora a eseguire perfettamente la ruota. La rapidità del suo declino nella follia e nel dolore divenne argomento di pettegolezzo generale: aveva perso il controllo delle funzioni corporali e, insieme, ogni senso dell'umorismo; si era andata spegnendo in una sorta di indeterminatezza illuminata da lampi improvvisi di vana violenza e grida soffocate.

Fu la vista di George che stava uscendo dalla cappella a far sì che gli amanti di Molly indietreggiassero un poco lungo il sentiero di ghiaia ingombro di erbacce. Si dispersero tra le aiuole ovali di rose, in quello che un cartello indicava come Giardino della rimembranza. Non c'era pianta che non fosse stata impietosamente potata a un'altezza di pochi centimetri dal terreno gelato, una pratica che Molly era solita deplorare. Il piccolo prato era lordo di mozziconi di sigaretta schiacciati, perché quello era il punto in cui la gente aspettava il proprio turno nel susseguirsi delle esequie funebri celebrate nella cappella. Passeggiando avanti e indietro, i due vecchi amici ripresero la conversazione già praticata almeno una mezza dozzina di volte e che tuttavia dava loro maggior conforto di un inno religioso.

Clive Linley aveva conosciuto Molly per primo, nel '68, quando entrambi erano studenti; insieme avevano abitato in una caotica, inquieta casa a Hampstead.

- Che fine terribile ha fatto.

Osservò il vapore del proprio fiato levarsi in alto nell'aria grigia. La temperatura registrata al centro di Londra quella mattina era di undici gradi sotto zero. Undici Sotto zero. C'era un male gravissimo al mondo del quale né Dio né la sua assenza potevano essere ritenuti responsabili. La fatale disobbedienza dell'uomo, la Caduta, una frase discendente, un oboe, nove, dieci note. Clive aveva il dono dell'orecchio assoluto e le sentì quelle note che discendevano dal sol. Non c'era bisogno di scriverle.

Proseguì: - Morire cosi, senza nemmeno rendersene conto, come un animale. Ridursi in quello stato umiliante, senza aver modo di esprimere una volontà, o almeno di salutare chi resta. Le è entrata in corpo la morte e poi..

Si strinse nelle spalle. Arrivarono alla fine del prato malridotto, fecero dietro front e ripresero a camminare.

- Si sarebbe uccisa piuttosto di finire così', - disse Vernon Halliday. Aveva vissuto con lei per un anno a Parigi, nel '74, ai tempi del suo primo impiego alla Reuters, mentre Molly lavorava per "Vogue".

- Incapace di intendere e di volere e per di più nelle mani di George, - disse Clive.

Ceorge, l'editore ricco e mesto che l'adorava e che, con grande stupore di tutti, Molly non aveva lasciato pur trattandolo sempre malissimo. Adesso lo osservavano là fuori dalla porta, nell'atto di ricevere le condoglianze da una piccola folla di persone. La morte di lei lo aveva riscattato dalla disistima generale. Sembrava quasi cresciuto di qualche centimetro, teneva la schiena dritta, gli si era abbassata la voce e nei suoi occhi avidi e servili si era accesa una nuova dignità. Dopo essersi rifiutato di ricoverarla in clinica, si era occupato personalmente di lei Ma c'era di più nei primi tempi, quando gli amici chiedevano ancora di andarla a trovare, lui li aveva selezionati con cura. Clive e Vernon li poteva vedere poco perché, secondo George, le loro visite la emozionavano per poi lasciarla depressa Altro uomo chiave a essere rigorosamente razionato fu il ministro degli Esteri. La gente incominciò a mormorare, si lessero alcune velate allusioni al caso su un paio di rubriche mondane. Poi, però, la questione cessò di fare notizia perché era corsa voce che Molly non fosse più in sé; nessuno voleva più andarla a trovare e furono tutti lieti che ci fosse George a impedirlo. Clive e Vernon comunque continuavano a detestarlo con soddisfazione.

Stavano per voltarsi un'altra volta, quando squillò il cellulare nella tasca di Vernon - il quale si scusò, si fece di lato e rallentò il passo. Dovevano esserci almeno duecento persone nella folla nerovestita davanti al crematorio, adesso. Di lì a poco sarebbe sembrato scortese non avvicinarsi per dire qualcosa a George. L'aveva avuta, finalmente, quando lei ormai non riconosceva più la sua faccia allo specchio. Sugli amori passati non c’era più niente da fare, alla fine però Molly era stata soltanto sua.

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